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I punti vendita sono i luoghi in cui è possibile esperire direttamente quei valori con cui le
campagne tradizionali caricano di senso il marchio. L'idea vincente è stata quella di render
vivo l'universo di valori espresso dalla marca nel momento in cui si consuma l'interazione del
consumatore con il prodotto. Paradossalmente il consumatore deve esperire emotivamente la marca
prima ancora di essere motivato all'acquisto. Luci, colori, materiali, suoni tutto deve rimandare
ai valori della marca in un circolo autoreferenziale che coinvolge il consumatore già a partire
dalla semplice presenza fisica nello spazio di vendita.
Se guardiamo alle competenze necessarie per la costruzione di uno spazio di experience
efficace abbiamo infatti bisogno di tutte le professionalità tipiche del mondo del
teatro o del cinema.
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Il consiglio dei guru dell'experience marketing è quello di adottare
la metodologia consolidata nell'industria dello spettacolo: uno scenografo per la scelta
dei colori e l'arredamento, un direttore della fotografia per l'illuminazione, un
consulente musicale per la "colonna sonora", uno sceneggiatore
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per i dialoghi tra
il pubblico e gli addetti ("gli attori").
E' come allestire uno spettacolo teatrale in
cui il responsabile marketing realizza il suo sogno di regista.
Il rischio è quello che il marchio sempre più connotato dal punto di vista estetico e spettacolare venga progressivamente museificato e, dopo l'impatto iniziale ("la prima"), si finisca per perdere quella rispondenza dinamica che l'experience marketing prometteva di valorizzare.
Il fatto che il Nike Town di Chicago sia la prima attrazione turistica della città con un milione di visitatori l'anno, sottolinea un rischio di "istituzionalizzazione" che è compatibile solo con una ristretta schiera di brand a vocazione tradizionale.
Esistono in questo caso due strade percorribili. La prima è la continua trasformazione dell'esperienza sul punto vendita declinando di volta in volta in maniera diversa i brand-value. Si tratta di una strada onerosa che rischia ogni volta di mettere a repentaglio l'identità di marca.
La seconda strada invece prevede la costruzione di eventi all'interno del punto vendita in grado sottolineare e rilanciare la brand-experience. Pur essendo la soluzione più lucida, oltre che la più pratica, l'investimento negli eventi finisce molto spesso per assomigliare ad una cura dei sintomi che si limita ad attenuare il progressivo indebolimento della seduttività del brand.
Il problema, a nostro avviso, è piuttosto nella persistenza
della metafora teatrale che considera il punto vendita come un palcoscenico in cui è possibile
far esibire artisti come deejay, veejay o performer.
L'intervento è soltanto additivo (come nella tradizione della
vecchia Broadway in cui gli impresari erano alla costante ricerca di "un nuovo numero")
e non modifica la chimica di marca. |
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Si tratta invece di considerare l'esperienza sul punto vendita per la sua consistenza sul piano della
realtà e non su quello della rappresentazione. Le performance dovrebbero essere ciò messe in scena in
modalità stealth, cioè come accadimenti reali che il cliente non percepisca come l'ennesima strategia
di marketing.
Pensiamo ad un grande magazzino in cui nel corso di una giornata si verifichino questi eventi:
una cliente esce dal camerino in topless alla ricerca di un commesso; un taccheggiatore viene
fermato dalla security e manganellato a sangue, un anziana signora lancia biancheria intima contro
un commesso, un gruppo di attivisti dà alle fiamme un espositore… Avremo sicuramente catturato
l'attenzione sul punto vendita e fatto vivere al nostro cliente un esperienza "reale" che
tenderà condividere con il proprio network amicale. In perfetto stile guerriglia l'intervento
è spettacolare e contemporaneamente anche virale.
Negli anni Ottanta un negozio di abbigliamento di Via del Corso a Roma divenne famoso grazie al fatto
che iniziò a circolare la voce che alcune ragazze una volta entrate nei camerini sparivano e
finivano in un giro di "tratta delle bianche". Si trattava di una leggenda metropolitana molto in
voga in quel periodo che ha contribuito positivamente alla notorietà del punto vendita nonostante
il tenore negativo della storia. Ma se la voce nasce grazie ad una attenta pianificazione
degli eventi sul punto vendita, la leggenda metropolitana derivante può saldarsi integralmente
alla strategia di marketing.
Il problema dell'event-marketing tradizionale e che quando un cliente entra nel punto vendita in cui si esibisce una artista potrà anche vivificare la sua relazione con il brand ma difficilmente sarà spinto a raccontarlo ad altri. Ma se lo stesso cliente si imbatte invece nella nostra attrice seminuda, l'evento diverrà subito un aneddoto virale. Il brand sarà così associato ad un immaginario vivo e reale (un po' trasgressivo nel nostro esempio) oltre che conforme alle strategie di marketing grazie alla costruzione coerente delle azioni.
Il patrimonio di competenze sarà allora quello delle performance di arte urbana, del teatro di strada,
di esperienze come quelle Leaving Theatre o del primo Teatro Situazionautico. Tutte esperienze
accomunate dall'attacco alle regole sottintese del vivere quotidiano. Ma ancor più utile può essere
l'esperienza di chi, con questo genere di prospettiva, ha sfidato proprio i meccanismi del marketing
esperienziale da una prospettiva assolutamente radicale.
I newyorkesi MyDadStripClub ad
esempio hanno organizzato delle vere e proprie azioni di disturbo ai danni di alcuni negozi della
catena Diesel.
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Mettendo in scena delle risse simulate di fronte a clienti inconsapevoli hanno
sottolineato proprio quello che nel punto vendita non succede mai, ma che coerentemente
dovrebbe accadere. Hanno cioè sottolineato lo scollamento tra l'esperienza mercificata
e la real-life.
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Ancora più radicali sono state le azioni dei londinesi
Space Hijackers
(di cui traduciamo la pagina esplicativa dell'operazione Anti-Diesel Diesel Action)
che hanno spinto questo ragionamento oltre i limiti dello spazio di competenza
del marchio e prefigurato interventi di event marketing in modalità stealth anche
nei punti vendita della concorrenza.
Si tratta di un genere di azione che già guarda all'experience marketing come
un piano di consistenza rispetto a cui non esiste più uno spazio esteriore. Ormai è
già tutto experience marketing anche un tramonto. Le regole sono saltate e non esistono
più confini per l'intervento di comunicazione al punto che anche gli spazi della
concorrenza possono diventare territori di guerriglia.
Gli Space Hijackers si sono così presentati in veste di manifestanti pro-Diesel nei negozi
delle catene Gap e Levis scagliandosi contro i valori proposti dalla concorrenza con volantini
e slogan come: "Gap is Crap" o "Support Anti Levis Day". Il suggerimento all'intervento è
venuto proprio dalla campagna Taking Action della Diesel che ha puntato sul valori protesta,
sulla presa di parola e l'invito all'azione. La sfida è stata raccolta e rilanciata: ha il
coraggio la marca di rendere reali le proprie narrazioni, i propri valori, le proprie proposte?
Guerrigliamarkeing.it è già pronta, e voi?
>>The Anti-Diesel, Diesel Action (traduzione)
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